Il sentimento popolare


Il carattere e le alte temperature di una varietà di canzoni popolari nostrane e d’altri paesi.
Canzoni orgogliosamente meticce, lealmente rubate ai loro paesi d’origine, brani che hanno fatto piangere e ballare!
Che hanno consolato! Che hanno aiutato a scandire il lavoro, o a fischiettare gli sfaccendati. Melodie sincere, a tutto core.
Un concerto per ascoltare e festeggiare insieme.

Spicchiamo il nostro volo disordinato dalla seggiola di un vecchio trani milanese.. piroettando su scatenati ritmi dispari balcanici viriamo verso un valzer siciliano e planando attraverso una rumba flamenca e una ballata messicana proviamo ad atterrare con un caschè a ritmo di tango argentino. Non prima di aver stornellato una serenata al balcone, deriso i potenti, versato una lacrima di gelosia, addormentato un bambino e ballato per i vivi e i morti.

Quando avevo poco più di vent’anni una volta mi trovavo a Bamako in un locale notturno, e incoraggiata dagli amici (miei coetanei maliani aspiranti artisti come me) presi il microfono e cantai con tutte le mie forze e gioia e rabbia insieme a un gruppo tradizionale locale. Dopo un lasso di tempo breve e vivido nella mia memoria sentii una strana sensazione alla fronte: qualcuno vi aveva attaccato grazie al mio sudore una banconota da diecimila franchi cefa.
Quel momento mi ha dato un certo coraggio.
Ed è forse responsabile del mio deprecabile inesauribile intento..
Cantare per me significava soprattutto far rieccheggiare le voci lancinanti, sommesse, dolenti, gravi, epiche, o pazze di gioia scoperte nelle registrazioni di campo svolte nell’Italia rurale del dopoguerra; e più in generale guardare alle sonorità tradizionali di ogni dove.
Perchè quei suoni mi parlavano e continuano a provocarmi e sedurmi.
Non mi sono mai sentita legittimata a cantare queste canzoni, ma sono fiera di essere una ladra scaltra e amorevole.
Saccheggiando macerie musicali trovate tra ruderi sonori del passato ho provato a formare il mio mosaico stralunato e rudimentale, forte del mio piacere e della mia presunzione.
Ho sempre avuto un conflitto aperto con l’accademia, l’istituzione e gli strilli del pensiero speculativo: il territorio anfibio delle arti performative e la materia nomade, erratica, scivolosa e dai contorni incerti del teatro sperimentale sono stati la mia scuola.
Rivendico l’orgoglio delle culture orali e credo nel rito.

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Arrangiamenti 
Camilla Barbarito, Fabio Marconi
Chitarra
Fabio Marconi
Batteria
Alberto Pederneschi
Basso
Ivo Barbieri
Tromba
Raffaele Kohler
Fisarmonica
Guido Baldoni

e molti molti altri compagni di strada

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